Ogni passo fatto, ogni cosa che ho scelto di vivere, le notti in bianco per il mestiere che più che scegliere mi ha scelto, mi hanno condotto a questa scrivania.
Io scrivo, io posso scrivere, io scelgo di scrivere. Cosa? La vita, certo, niente altro che la vita. Non solo quello che è reale, non solo quello che è un fatto di cronaca. Io amo scrivere la vita inventando mondi. Il mio libro più conosciuto, quello che ha fatto più rumore, è un libro che racconta proprio il mondo, ma non nei fatti tracciabili, confutabili. Ho provato a raccontare di quel che è successo grazie a quel che non è mai successo. Il deserto dei Tartari, che è il titolo del mio libro, è il nome di un posto che non esiste in nessun luogo, ma racconta di molti posti in cui gli uomini attendono, restano in attesa, aspettano il nemico nella loro Fortezza. Volevo raccontare della routine dell'attesa, quella del soldato che aspetta il nemico per combattere, e che somiglia, ne sono certo, alla tremenda routine che io ho sperimentato tante volte nel mio mestiere. Ho temuto tante volte di essere inghiottito dal tram tram delle cose che accadono, sempre le stesse, sempre uguali, e dal passaggio del tempo che si ripete senza novità. Ho solo trasposto in un mondo militare fantastico quel che della vita ho sperimentato e continuo a sperimentare. Forse il senso del mio mestiere è tutto nel raccogliere qualcosa dal deserto della vita e farlo fiorire di parole, perché gli uomini si riconoscano fratelli, avversari a volte, ma simili.